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Guardava gli uccelli volare lontano e anch’egli volava sulle ali di un piano. Se il vento di ottobre le foglie ingialliva, con voce tremante l’autunno cantava, cantava la triste espressione di un viso, cantava la grazia di un dolce sorriso, un dolce sorriso che non conosceva, perché mai nessuno sapeva chi era. Viveva in un buco, due stanze e cucina, un unico pasto fra sera e mattina, ma quando suonava il suo piano scordato, credeva di essere ricco sfondato. Suonava ed allora quei muri ingialliti sembravan distese di prati infiniti e nella sua stanza l’azzurro del cielo chiudeva le note in un magico volo. Scrisse stupende canzoni d’amore, suonate da un piano, cantate da un cuore che non conosceva il sapore di un bacio, che non conosceva cos’era l’amore. Diceva “ti amo” a una donna divina, che tutte le notti sentiva vicina, ma quando, al mattino, lui si risvegliava, stringendosi al petto un cuscino, piangeva. E venne l’inverno, e moriron le viole e nella sua stanza non c’era più sole, La morte col freddo alle porte bussava e allora, più forte, più forte suonava, e il piano si univa al fischio del vento, ma la sua canzone finì in un lamento, e il peso del corpo sui tasti ingialliti fu l’ultimo accordo di sogni finiti. |
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